Biologia La Genetica.

Cartina dell'Italia

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 INTRODUZIONE - CROMOSOMI ED EREDITÀ - DALTONISMO - LA SCOPERTA DEL DNA - IL CODICE GENETICO - LA MAPPATURA DEL PATRIMONIO EREDITARIO UMANO, UNA CONQUISTA DESTINATA A CAMBIARE IL FUTURO DELL'UMANITÀ

 COME NASCE UNA SPECIE - L'INGEGNERIA GENETICA - BIOTECNOLOGIE: PRO O CONTRO? - ELETTROFORESI E CROMATOGRAFIA - RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI - L'ISOLAMENTO BIOLOGICO - SPECIE E RAZZA

Coronavirus Covid-19.

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ITINERARI - LE ORIGINI - BIOLOGIA - LA GENETICA

INTRODUZIONE

La genetica è la scienza dell'eredità, cioè quella branca della biologia che studia i meccanismi ereditari e i modi in cui la discendenza somiglia o differisce dai genitori. Le circostanze ambientali possono influenzare un determinato organismo, ma non modificare le caratteristiche ereditarie. La genetica è la scienza che permette di definire le caratteristiche degli organismi viventi e di spiegare i vari fenomeni che si verificano nell'ambito dell'eredità. Il fondatore della scienza dell'eredità fu il monaco austriaco Johan Gregor Mendel (1822-1884). Mendel utilizzò per le sue ricerche dei piselli partendo dalla semplice constatazione che non tutti i piselli sono uguali: alcuni hanno piante alte, altri basse, alcuni hanno fiori colorati, altri fiori bianchi, alcuni hanno semi verdi e altri gialli, certi semi sono rugosi e altri lisci. La cosa più saggia che fece Mendel fu di occuparsi di una sola caratteristica per volta incrociando fra loro piante che differivano per un solo carattere: piante alte con piante basse, fiori colorati con fiori bianchi, semi gialli con semi verdi, semi rugosi con semi lisci. Avendo l'accortezza di usare un solo elemento differente per volta, Mendel raggiunse contemporaneamente due scopi: di classificare facilmente i discendenti dei suoi incroci e di poter contare quanti fra i discendenti possedevano un carattere e quali l'altro. Fu proprio l'uso della matematica che gli permise di formulare esattamente una teoria che spiegasse i suoi dati. Mendel eseguì centinaia di incroci e dopo aver osservato le piante ottenute da questi primi esperimenti lasciò che esse si riproducessero senza più intervenire nell'impollinazione. I risultati di questi studi furono sorprendenti. Dopo i primi esperimenti Mendel constatò che impollinando una pianta a semi lisci con il polline di una pianta a semi rugosi, tutti i semi che si ottenevano erano lisci: la caratteristica della rugosità dei semi sembrava perduta. Uno solo quindi dei due opposti caratteri posseduti dai genitori compariva nei figli. Mendel chiamò dominante il carattere «seme liscio» e osservò che quando le piante ottenute da questi semi lisci si riproducevano, i 3/4 dei discendenti presentavano il carattere dominante, mentre il carattere «seme rugoso», che Mendel definì recessivo, compariva nel restante quarto dei discendenti. Era chiaro quindi che pur non manifestandosi, il carattere rugoso era rimasto anche nella prima generazione, mascherato dal carattere liscio. Lo stesso tipo di lavoro fu fatto da Mendel con altre sei coppie di caratteri opposti ottenendo sempre risultati simili: uno dei due caratteri era dominante, l'altro compariva solo in 1/4 degli individui della seconda generazione. Pur non sapendo niente di cromosomi, Mendel decise che l'eredità di certe caratteristiche era dovuta a fattori presenti nelle cellule sessuali, dei quali uno era dominante e l'altro recessivo. Molto tempo dopo, nel 1808, il biologo danese Wilhelm L. Johannsen (1857-1927) propose di chiamare gene il fattore che regola questi caratteri. Stabilito questo principio, Mendel volle sapere che cosa sarebbe accaduto se le piante usate per gli incroci avessero avuto due caratteri differenti invece di uno. Per questo secondo ciclo di esperimenti furono scelte piante con semi rotondi e gialli come caratteri dominanti che furono incrociate con piante dai semi verdi e rugosi come caratteri recessivi. Al primo incrocio in tutti gli esperimenti eseguiti, i semi ottenuti erano rotondi e gialli; incrociandoli a loro volta si ottenevano dei risultati molto interessanti: su sedici piante soltanto nove avevano il carattere dominante (seme rotondo e giallo), una sola il carattere recessivo (semi rugosi e verdi), mentre le sei rimanenti avevano un carattere dominante ed uno recessivo: tre semi rotondi ma verdi e tre semi gialli ma rugosi: evidentemente il colore e la forma del seme non si influenzavano a vicenda. Anche in esperimenti analoghi eseguiti con altre coppie di caratteri, fu facile per Mendel dedurre che l'accoppiamento dei caratteri era indipendente e casuale. Le scoperte di Mendel si potrebbero così riassumere: nell'unione di due animali o piante, ogni carattere viene determinato da una coppia di fattori ereditati dai genitori, uno per ciascuno; ognuno di questi geni può essere o dominante o recessivo: la nuova pianta può ereditare o dei geni dominanti o dei geni recessivi o un gene dominante e uno recessivo. Solo il caso decide dell'accoppiamento dei geni dominanti o recessivi. Queste leggi, valide ancora oggi, sono il risultato di otto anni di lavoro e di ben diecimila esperimenti di incrocio fra diverse piante di piselli. Mendel pubblicò il suo lavoro nel 1866, ma i contemporanei non si resero conto dell'importanza fondamentale delle sue scoperte. Dovettero passare più di trenta anni perché esse fossero universalmente riconosciute.

Schematizzazione delle leggi di Mendel

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CROMOSOMI ED EREDITÀ

Lo studio microscopico delle cellule e dei loro processi di divisione permise di mettere in rapporto le leggi di Mendel con le strutture filamentose del nucleo cioè con i cromosomi. Venne quindi elaborata una teoria che stabilì le relazioni intercorrenti fra il comportamento genetico delle cellule e la loro struttura. Un medico americano, Walter Sutton, nel 1902 propose la teoria cromosomica dell'eredità. Sutton ebbe il merito di collegare certe somiglianze fra il comportamento delle unità genetiche proposte da Mendel e le modificazioni che si osservano nei cromosomi al momento della divisione cellulare. Il punto fondamentale della teoria cromosomica è questo: negli organismi pluricellulari il legame fra genitori e figli è costituito da due sole cellule: uno spermatozoo, piccolissimo, fornito dal maschio, e l'uovo della femmina, che ha dimensioni un poco più considerevoli. Se, come diceva Mendel, i geni si trasmettono di generazione in generazione, qual è la loro collocazione all'interno delle cellule sessuali? Era stato osservato che non esisteva alcuna differenza nell'aspetto dei discendenti sia che il carattere dominante fosse conferito dal maschio o dalla femmina. Non esisteva un motivo valido perché i geni non dovessero essere situati nella stessa regione della cellula tanto nelle uova che negli spermatozoi. La differenza fondamentale fra uovo e spermatozoo consiste soprattutto nella diversa quantità di citoplasma (maggiore nell'uomo) mentre il nucleo è più o meno simile. Era quindi abbastanza ragionevole supporre che il nucleo fosse il depositario del materiale genetico. In poche parole Sutton lanciò l'idea che ciascun cromosoma fosse costituito da un certo numero di geni. I cromosomi sono presenti a coppie nelle cellule, perciò ogni gene portato su un cromosoma ha il suo corrispondente (allele) sul cromosoma omologo. Le prove a sostegno di questa teoria furono fornite dallo studio di un piccolo essere, un moscerino della frutta, chiamato Drosophila melanogaster. Questo moscerino come animale da esperimento offre molti vantaggi: facile da procurarsi, si alimenta con la frutta acida, si può farlo passare da un recipiente ad un altro attirandolo con fasci di luce, si riproduce ogni due settimane dando duecento figli per volta. Ogni cellula di Drosophila possiede in tutto 4 coppie di cromosomi ed anche questo è un vantaggio perché essendo pochi è più facile individuarli e coglierne le eventuali differenze. Ultima qualità tutt'altro che trascurabile è la resistenza che la Drosophila ha verso il trattamento con l'etere: è possibile addormentarle, studiarle al microscopio per definirne i caratteri e farle quindi riprodurre per osservarne la prole. Thomas Hunt Morgan (1886-1975), lo studioso della Drosophila, scoprì che delle quattro coppie di cromosomi, tre erano sempre uguali tanto nei moscherini maschi che nelle femmine; solo la quarta coppia presentava delle differenze. Nelle femmine la quarta coppia era costituita da due cromosomi eguali, che chiamò X, mentre nel maschio un cromosoma era uguale all'X della femmina e l'altro chiamato Y era molto più piccolo e presentava una specie di gancio ad un'estremità. I cromosomi delle prime tre coppie furono chiamati autosomi, mentre quelli della quarta coppia furono definiti cromosomi sessuali. Le cellule germinali avendo subito un processo che si chiama meiosi, contengono un numero di cromosomi che è la metà di quelli contenuti nelle altre cellule (somatiche). Per questo motivo dall'unione di due cellule germinali si ha una cellula che contiene il numero esatto di cromosomi delle specie. I moscerini maschi producono due tipi di spermatozoi: in un tipo è contenuto il cromosoma sessuale X e nel secondo il cromosoma Y; le femmine al contrario producono uova con cromosoma X. Quando avviene l'incrocio tra un uovo ed uno spermatozoo portatore dell'X si ha sempre un moscerino femmina, mentre se l'uovo viene fecondato da uno spermatozoo con l'Y si ottiene un moscerino maschio. Questo principio vale per quasi tutte le specie compreso l'uomo; è la presenza di un cromosoma X o Y nello spermatozoo che stabilisce di quale sesso sarà un bambino, ed è la presenza di due cromosomi sessuali che fa sì che esistano i maschi e le femmine. La scoperta di Morgan ha capovolto una credenza molto radicata che riteneva la madre responsabile del sesso del bambino. Nell'uomo si hanno 22 coppie di cromosomi, le cui dimensioni variano da 1/100 di millimetro ad 1/500 di millimetro, e due cromosomi sessuali: XX per la femmina, XY per il maschio. Successivamente alla scoperta dei cromosomi sessuali Morgan e i suoi collaboratori si accorsero che esisteva tutta una serie di caratteri, come il colore degli occhi, le dimensioni delle ali ed il colore del corpo, che erano legati ad uno dei cromosomi sessuali: si trasmettevano cioè o solo ai maschi o solo alle femmine. Questo tipo di caratteri è quindi legato al sesso. Per esempio nella specie umana il daltonismo, l'incapacità di distinguere certi colori, colpisce solo i maschi. Il gene del daltonismo è legato al cromosoma X.

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DALTONISMO

Il daltonismo è un'anomalia del senso cromatico che consiste nell'incapacità di distinguere certi colori. Dei tre colori fondamentali rosso, verde e blu il daltonico ne percepisce solo due; o difetta la percezione del rosso o quella del verde. Lo spettro solare appare al daltonico diviso da una fascia neutra: i colori verso il rosso gli danno la sensazione di un giallo uniforme, quelli verso il violetto di un identico blu. L'anomalia prende il nome dal fisico inglese John Dalton (1766-1844) che ne era affetto e che aveva studiato su se stesso il fenomeno. Il daltonismo colpisce quasi esclusivamente i maschi perché il gene del daltonismo è legato al cromosoma X. Nelle femmine non si ha questa malattia perché l'altro X porta il gene normale; i maschi che hanno l'Y al posto dell'X, non sono protetti. Una femmina potrebbe essere daltonica solo se ricevesse tanto dal padre che dalla madre un cromosoma X con il gene del daltonismo, ma è un'eventualità estremamente rara. Supponiamo che nella prima coppia la femmina possieda un cromosoma X portatore del carattere recessivo del daltonismo. In lei l'altro cromosoma X è normale e non permette il manifestarsi della malattia. Questa compare invece nel maschio della prima generazione in cui il cromosoma Y non è in grado di fare equilibrio all'X. La femmina della prima generazione si trova nella medesima situazione della madre. Lo stesso avviene nelle generazioni successive. I caratteri legati al sesso sono più comuni nei maschi perché le loro cellule hanno un solo cromosoma X.

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LA SCOPERTA DEL DNA

Quando la vita ebbe origine e si organizzò nei primi organismi eterotrofi il successo di certi esseri rispetto ad altri dipese dalla capacità di vincere la lotta per la sopravvivenza in concorrenza con altri organismi simili. Da questo punto di vista era molto importante per ciascun organismo essere in possesso di qualche sistema che permettesse di controllare le reazioni che avvenivano al suo interno, ma soprattutto che garantisse che i suoi discendenti sarebbero stati altri esseri uguali altrettanto in grado di sopravvivere. Alcuni studiosi hanno scoperto che nel nucleo delle cellule e soprattutto nelle cellule germinali sono contenute delle sostanze acide molto diverse da tutti gli altri componenti delle cellule. Estendendo lo studio alle cellule di molti altri organismi superiori si vide che tali sostanze erano presenti in tutte le specie studiate ed erano sempre localizzate nei nuclei delle cellule: per questo motivo furono denominate acidi nucleici. Gli acidi nucleici sono grossissime molecole, fra le più grandi che si conoscano, che dirigono tutte le funzioni attraverso le quali la cellula attua la sua esistenza. Sebbene uno degli acidi nucleici, l'acido disossiribonucleico, detto DNA, fosse stato individuato in molti esseri viventi, trascorse parecchio tempo prima che si potessero ottenere prove sicure che era il DNA a controllare i vari processi vitali delle cellule. Alcuni studiosi organizzarono un esperimento che diede risultati insperati. Gli scienziati che effettuarono questo esperimento erano microbiologi e lavorarono con batteri chiamati pneumococchi. Questi germi possono o no essere rivestiti da una sostanza simile allo zucchero: i germi che posseggono il rivestimento sono detti capsulati e provocano la polmonite, mentre quelli senza capsula non provocano la malattia. Gli scienziati pensarono di iniettare in un topino un miscuglio costituito da batteri capsulati morti e da batteri vivi senza capsula; con loro grande sorpresa il topo morì (sebbene i batteri capsulati fossero morti e non potessero quindi provocare la malattia) e nel sangue furono trovati dei batteri con la capsula. Il problema degli scienziati fu allora di scoprire come era stato possibile che germi innocui si trasformassero in germi capsulati mortali per il topolino. Si pensò che una sostanza o certe sostanze contenute dentro i pneumococchi morti fossero in grado di produrre la capsula in pneumococchi che ne erano privi. I pneumococchi sono in grado di crescere in un recipiente di vetro che contenga l'adatto nutrimento, e così gli scienziati poterono procurarsi grandi quantità di germi capsulati da studiare. Le cellule batteriche furono uccise, pestate e sciolte per ricavarne un estratto in cui erano contenute le sostanze presenti dentro le cellule. Aggiungendo un estratto di questo tipo a germi privi di capsula, si vide che essi si trasformavano in germi con la capsula e che da questi in poi, per divisione, si ottenevano sempre forme con capsula. La trasformazione quindi era tale da influenzare per sempre le cellule figlie. Evidentemente qualcosa nell'estratto era in grado di provocare un mutamento definitivo nel luogo dove era situato il meccanismo che consentiva alla cellula di fabbricarsi una capsula. Studiando attentamente tutte le sostanze contenute nell'estratto fu infine deciso che il responsabile della trasformazione era il DNA. A questo punto la difficoltà maggiore stava nel comprendere in che modo il DNA regola l'eredità. Era quindi necessario stabilire come fosse costruita la sua molecola rispetto alle altre molecole che si trovano in natura. Il DNA è gigantesco ed ha una struttura piuttosto complicata. È costituito da una lunga catena di elementi che vengono chiamati nucleotidi. Il numero dei nucleotidi varia molto da una specie ad un'altra da qualche centinaio a molte migliaia. L'originalità della molecola del DNA sta tuttavia nel modo come questi nucleotidi sono collegati fra loro. Si tratta cioè di due catene analoghe che si avvolgono l'una all'altra, come una scala a chiocciola con due ringhiere. Le ringhiere sono costituite da due sostanze chimiche, uno zucchero e un composto del fosforo. Le due ringhiere sono collegate fra loro trasversalmente da gradini, ognuno dei quali è costituito da due diversi elementi affiancati. I due componenti di ciascun gradino sono chiamati basi. In tutto le basi che compongono il DNA sono quattro, tutte diverse fra loro; tutte quante però contengono azoto. Generalmente le quattro basi sono indicate con i simboli A, T, G, C. Con queste quattro basi tuttavia è possibile ottenere solamente due diversi tipi di gradini: un tipo A-T o T-A, ed un tipo G-C o C-G. L'A (Adenina) e la G (Guanina) hanno una struttura doppia rispetto alla T (Timina) e alla C (Citosina). Se A e G, e T e C si affiancassero per formare dei gradini, la scaletta non avrebbe più la stessa larghezza in tutti le sue sezioni; presenterebbe invece una serie di allargamenti e di strozzature.

Struttura del DNA

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IL CODICE GENETICO

All'interno di ogni organismo si svolgono in continuazione processi chimici. L'insieme dei processi chimici che mettono l'organismo in condizione di funzionare si chiama metabolismo. Le molecole fondamentali che regolano il metabolismo sono costituite da proteine. Queste sostanze si trovano in ogni organismo vivente, nel nucleo delle cellule e anche all'esterno di esso e sono formate da elementi chimici chiamati aminoacidi, che si combinano variamente; oggi si conoscono venti aminoacidi. Il modo in cui gli aminoacidi si uniscono a formare questa o quella proteina è determinato dal DNA. Si è studiato il meccanismo per il quale il DNA situato nel nucleo della cellula può influire sui processi che avvengono nel citoplasma. Si è pensato che le quattro basi presenti nella molecola del DNA funzionino un po' come i simboli dell'alfabeto nella formazione delle parole. Le lettere dell'alfabeto sono soltanto 21 (almeno nell'alfabeto italiano) eppure con queste ventun lettere si possono formare infinite parole. I simboli dell'alfabeto Morse sono soltanto due, il punto e la linea, eppure con l'alfabeto Morse si possono trasmettere tutte le parole. Allo stesso modo si è pensato che a seconda di come si combinano le basi del DNA si formino proteine diverse, quindi cellule diverse, e che ogni tipo di proteina sia il risultato di una combinazione di aminoacidi formatasi in seguito ad una informazione scritta in un linguaggio che usa come simboli le quattro basi A, T, G, C. Ma se si usano soltanto quattro simboli disposti a coppie si possono formare soltanto sedici parole, cioè se la formazione degli aminoacidi dipendesse da un raggruppamento delle basi a due a due, si avrebbero soltanto sedici aminoacidi e non venti. Allora si è pensato che il meccanismo funzioni in seguito ad una sequenza di tre basi. In questo modo si ottengono fino a 64 possibilità di combinazione, cioè più di venti, ma per una serie di motivi troppo complessi per indicarli qui, ciò non è un ostacolo alla comprensione del meccanismo del codice. Oggi si pensa dunque che secondo come si susseguono tre basi nel DNA si abbia un determinato aminoacido che si inserisce nella proteina e siccome il tipo di proteina, quindi il tipo di cellula, dipende dal tipo di aminoacidi che la formano e dall'ordine con cui si uniscono uno all'altro, tutte le qualità delle cellule dipendono dal DNA. Si sono fatti esperimenti in laboratorio, e si è visto appunto che secondo il modo in cui si mescolavano i nucleotidi con gli aminoacidi si formava una o un'altra proteina. Il funzionamento del codice è dunque il seguente. Nel nucleo della cellula (di qualunque cellula animale o vegetale) si trova il DNA, variamente strutturato a seconda del tipo di cellula e del tipo di organismo al quale appartiene. Ogni cellula riproduce se stessa dividendosi in due cellule uguali e in questo modo ogni organismo contiene sempre cellule del tipo di quelle che stanno negli altri organismi della stessa specie. Tutto questo perché nel DNA è «scritto» ciò che deve succedere. Quando si dice che è scritto non si deve pensare ad una specie di magia: si tratta di processi chimici. A seconda di come è fatta la struttura del DNA si ha una cellula di un determinato tipo perché si formano proteine di quel tipo per l'unione di aminoacidi di quel tipo. Ma come viene letto il messaggio scritto nel DNA? A questo punto interviene una altra sostanza, che si chiama RNA. Anche l'RNA è un acido nucleico ma si trova principalmente nel citoplasma ed ha una struttura leggermente diversa da quella del DNA. L'RNA ha due funzioni: da un lato trascrive il messaggio contenuto nel DNA, e dall'altro, secondo il contenuto di quel messaggio, raccoglie gli aminoacidi che provengono dalla scissione dei cibi e penetrano in una cellula, e li trasporta nell'ordine stabilito dal codice nel luogo dove si formano le proteine. Le proteine sono fondamentali per la vita; questa non sarebbe possibile senza di esse: sono esse a determinare la contrazione dei muscoli, il trasporto dell'ossigeno nel sangue, il colore della pelle, degli occhi, dei capelli. Ogni essere possiede delle proteine specifiche diverse da tutti gli altri. È questa caratteristica individualità che condiziona la riuscita dei trapianti: un pezzetto di pelle non si può trapiantare impunemente da un individuo ad un altro a meno che non si tratti di un gemello monozigote (che proviene dallo stesso uovo). Tutte queste caratteristiche individuali sono specificate dal codice del DNA che costituisce il materiale chimico trasferito da ciascun individuo alla sua progenie si tratti di un individuo unicellulare o pluricellulare. Mentre per l'organismo unicellulare il trasferimento della continuità avviene semplicemente in base ad un raddoppiamento del DNA e alla divisione cellulare, per gli organismi superiori l'unico legame fra le generazioni è costituito dalle cellule sessuali, il cui nucleo contiene tutte le informazioni necessarie per ricostruire l'intero organismo. Anche il procedimento in base al quale il DNA è in grado di riprodurre una molecola eguale a se stessa è stato studiato a lungo. Il modello proposto da Watson e Crick ha offerto una soluzione convincente anche di questo problema. Oggi si ritiene che al momento della divisione del nucleo la struttura della molecola a doppia elica si apra, come potrebbe succedere per una cerniera lampo, rompendo a metà i gradini costituiti dalle basi. Su ciascuna delle due metà così ottenute una nuova elica viene costruita utilizzando il materiale della cellula e si ristabiliscono i contatti obbligati fra le basi A-T e G-C. In questo modo, poiché non è possibile che le basi si uniscano a coppie diversamente dallo schema tipico della molecola, al termine del processo si ottengono due molecole eguali a quella originale, ciascuna delle quali contiene una metà. Questo sistema di riproduzione del materiale a cui è affidata tutta l'eredità garantisce che i nuovi esseri formati saranno simili a quelli che li hanno preceduti in quanto una porzione del corredo di informazioni viene sempre conservata nel nuovo organismo.

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LA MAPPATURA DEL PATRIMONIO EREDITARIO UMANO, UNA CONQUISTA DESTINATA A CAMBIARE IL FUTURO DELL'UMANITÀ

Il 26 giugno 2000, il presidente americano Bill Clinton e il primo ministro inglese Tony Blair annunciarono al mondo che il Progetto Genoma Umano e la Celera Genomics, rispettivamente rappresentati e diretti da Francis Collins e Craig Venter, avevano completato la decodifica del codice genetico umano. La notizia venne accolta con grande entusiasmo dalla comunità scientifica, che vide l'impresa come una conquista eccezionale. Dal punto di vista dell'evoluzione della conoscenza in ambito scientifico, infatti, il sequenziamento del patrimonio ereditario umano rappresenta la chiave fondamentale per comprendere la componente genetica delle malattie e apre nuovi orizzonti nel campo della prevenzione, della diagnosi e della terapia delle patologie ereditarie. La mappatura del “libro della vita” prende il via formalmente nel 1990, per volere dei Governi americano e inglese. Negli anni seguenti aderiscono al Progetto Genoma Umano anche Giappone, Germania, Francia e Italia, stabilendo come obiettivo comune il completamento dell'intera sequenza del genoma umano entro il 2005. Nel 1998 entra in campo una task-force privata statunitense, la Celera Genomics, che annuncia il raggiungimento dello stesso obiettivo entro il 2001, costringendo i ricercatori del Progetto Genoma ad accelerare i tempi. Per ottenere l'elenco quasi completo (la bozza di Celera è completa al 99%, mentre quella del Progetto Genoma arriva al 97%) dei circa centomila geni umani, le due équipe seguono percorsi differenti e concettualmente in antitesi. Celera utilizza la tecnica dello shotgun sequencing, uno studio rapido che richiede calcolatori potentissimi (la compagnia possiede il secondo centro di calcolo degli Stati Uniti, superato solo dai computer governativi), utilizzando un notevole grado di standardizzazione tecnologica e metodologica e procedure automatizzate per la produzione del materiale biologico da analizzare. Il Progetto Genoma segue invece un approccio gerarchico più lento, ma secondo molti esperti molto più affidabile, basato sull'analisi successiva di precise regioni di Dna mappate all'interno di ciascun cromosoma. Nonostante la loro diversità, i due approcci sono complementari e la gara tra pubblico e privato finisce in pareggio. Le parti in causa si impegnano ufficialmente a rendere disponibile, gratuitamente per gli istituti di ricerca e a pagamento per industrie e privati, il risultato del sequenziamento sui rispettivi siti Internet. Per capire a fondo l'importanza dell'incredibile traguardo raggiunto, e dell'immane lavoro di ricerca che il raggiungimento di tale obiettivo ha richiesto, è necessario dare qualche piccola delucidazione di carattere scientifico. Nel nostro organismo ci sono circa 10.000 miliardi di cellule, nel cui nucleo vi sono sottili filamenti lunghi qualche micrometro (millesimo di millimetro) chiamati cromosomi (dal greco, “corpi colorati”, in quanto si colorano intensamente con speciali tecniche di laboratorio). I cromosomi umani sono 46, o meglio sono 23 paia poiché si dispongono a coppie, ognuna delle quali è formata da un cromosoma di provenienza paterna e da un cromosoma di provenienza materna. I cromosomi sono costituiti da una molecola di acido desossiribonucleico, meglio noto come Dna. Questa enorme molecola è formata da elementi chimici, chiamati nucleotidi, che si dispongono in sequenza concatenata creando due lunghi filamenti avvolti l'uno sull'altro in modo da formare una struttura a doppia elica, simile a una scala a chiocciola. I filamenti, che potremmo immaginare come le ringhiere di questa scala, sono uniti da sbarre che ne formano i gradini. Ogni gradino è costituito da due diversi elementi affiancati chiamati basi. Le basi che compongono il Dna sono quattro, tutte diverse fra loro: Adenina, Guanina, Timina e Citosina. Nell'insieme dei 46 cromosomi vi sono 3 miliardi di gradini. A seconda di come si susseguono tre basi nel Dna si ha un determinato aminoacido, di cui nell'organismo umano esistono venti tipi differenti. In altre parole, una serie di tre gradini consecutivi rappresentano il codice per la formazione di un aminoacido. Gli aminoacidi, combinandosi diversamente come le lettere dell'alfabeto, formano le proteine, che sono fondamentali per la vita in quanto sono esse ad espletare tutte le funzioni metaboliche. Sono le proteine a permettere la difesa dagli agenti esterni, la contrazione dei muscoli, il trasporto dell'ossigeno nel sangue, a determinare il colore della pelle, degli occhi, dei capelli. L'unicità di ogni essere umano dipende proprio dal fatto che ognuno possiede delle proteine specifiche diverse da tutti gli altri. In base a come è fatta la struttura del Dna si ha quindi una cellula di un determinato tipo. Il Dna provvede non solo a stabilire la composizione chimica di ciascuna proteina ma anche ad assicurare che tale composizione rimanga costante nelle successive generazioni (ereditarietà). Le porzioni di Dna occorrenti per codificare una proteina, si chiamano geni. Tali porzioni sono costituite da una successione di centinaia o migliaia di triplette di gradini determinanti gli aminoacidi. I geni sono dunque gli stampi per generare tutte le proteine e l'insieme di tutti i geni è chiamato genoma. Effettuare la mappatura del genoma umano significa quindi individuare in quale dei 46 cromosomi è localizzato ciascuno dei 115.000 geni della specie umana e conoscere la sequenza esatte delle triplette che sintetizzano le proteine. Nonostante l'enorme importanza del traguardo raggiunto con la decifrazione completa del genoma umano, l'organismo umano deve ancora svelare i suoi segreti. Per usare una metafora, si potrebbe dire che, con la mappatura del patrimonio ereditario, gli scienziati sono arrivati a riconoscere tutte le lettere con cui è scritto il grande libro della vita , ma non conoscono ancora la storia che questo libro racconta. Identificati tutti i geni umani, infatti, si tratta ora di mettere a fuoco le funzioni di ognuno di essi. Solo attraverso questa conoscenza diventa veramente possibile comprendere a fondo le malattie genetiche, studiare nuovi farmaci e trovare cure risolutive per le patologie degenerative. Per tornare alla metafora del libro, a ogni gene, o meglio, a ogni proteina, corrisponde un intero capitolo. Il mondo delle proteine è più complesso di quello del Dna. Basti pensare che l'alfabeto delle proteine ha venti lettere (gli aminoacidi) anziché quattro come quello del Dna (le basi). Delle 100.000 proteine che costituiscono il proteoma umano - intendendo con proteoma l'insieme completo delle proteine sintetizzate da un organismo nell'arco della sua vita - fino ad ora si è arrivati a conoscerne abbastanza bene solo poche migliaia. Dopo la decodifica del genoma, il ruolo di punta deve essere quindi assunto dalla genomica funzionale, la scienza che si occupa di caratterizzare la funzione dei geni, e dalla proteomica, che studia il ruolo delle proteine, la loro dinamica, le loro interazioni. La maggior complessità che caratterizza questa seconda fase della ricerca richiede necessariamente lo spostamento dal modello di ricerca tradizionale a quello di tipo industriale. Le implicazioni di questo immenso progetto sono meravigliose e, al tempo stesso, preoccupanti: se da un lato si apre la strada alla prevenzione mirata e alla terapia su base individuale, dall'altro non bisogna sottovalutare i rischi di abuso e discriminazione, nel caso tali conoscenze venissero usate in modo improprio. All'impegno scientifico deve pertanto affiancarsi un piano legislativo internazionale a tutela dei diritti della specie umana, affinché la Scienza possa proseguire il suo cammino nella giusta direzione.

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21 Mag. 2025 3:36:09 pm

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